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A Venezia in transizione

di Paola
Boffo

Guardare l’orizzonte tante volte in ogni giorno, guardare tanti orizzonti differenti. Nascono dal mare e si trasformano in tanti lembi di terra. Su uno c’è un impianto petrolchimico, sull’altro atterrano e decollano gli aerei, là in fondo ci sono le dune, da quell’altra parte il profilo di edifici liberty.

Camminare nell’acqua per andare ovunque, meno male che ci sono i ponti. Mantenersi in equilibrio su una zattera aspettando un passaggio per l’altra isola. Mantenere un equilibrio diverso sulla plancia del vaporetto, restare in piedi facendo lavorare i muscoli delle gambe: ti devi concentrare, fino a che non spunta uno scorcio struggente che ti distrae.

L’acqua ti entra in testa e negli occhi, in tutte le svolte e i parapetti, e poi riesci a camminare dritto per un paio di chilometri su una fondamenta di Cannaregio e arrivi proprio là dove Venezia finisce, giusto in tempo per vedere tramontare il sole dietro Marghera.

Aggirare accuratamente San Marco e dintorni e le sue folle, accomodarsi nei posti più periferici, se questa città avesse una periferia, intorno ai campi dove i bambini giocano tutti a pallone, e qualche volta il portiere sta sull’altra sponda del rio. Poi ci sono dei monopattini per i bambini piccoli, che probabilmente vendono solo lì, per non farli camminare troppo. Lontano dal centro si può mangiare bene e anche spendere poco e le persone sono più rilassate.

E poi farsi prendere dalla sindrome di Stendhal visitando la collezione di Peggy Guggenheim, che non se ne è perso uno degli artisti del suo tempo, Georges Braque, Salvador Dalí, Robert Delaunay, Piet Mondrian, Francis Picabia, Fernand Léger, a Max Ernst l’ha addirittura sposato, Jackson Pollock, René Magritte, e si faceva fare la testiera del letto e gli orecchini da Alexander Calder e da Yves Tanguy, dicendo “Indossai un orecchino di Tanguy e uno di Calder, per dimostrare la mia imparzialità tra l’arte surrealista e quella astratta”.

La 17a Mostra Internazionale di Architettura ha il titolo How will we live together?, ed è curata da Hashim Sarkis e organizzata dalla Biennale di Venezia.

How: come, parla di approcci pratici e soluzioni concrete, sottolineando l’importanza del problem solving nel pensiero architettonico.

Will: esprime il tempo futuro e segnala uno sguardo rivolto al futuro ma anche la ricerca di visione e determinazione, attingendo alla forza dell’immaginario architettonico.

We: è la prima persona plurale e quindi inclusiva di altri popoli, di altre specie, che fa appello a una comprensione più empatica dell’architettura.

Live: significa non semplicemente esistere ma prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita, attingendo all’intrinseco ottimismo dell’architettura.

Together: implica collettivi, spazi comuni, valori universali, evidenziando l’architettura come forma collettiva e forma di espressione collettiva.

?: indica una domanda aperta, non retorica, che cerca (molte) risposte, che celebra la pluralità dei valori in e attraverso l’architettura.

Hashim Sarkis  dice: “L’attuale pandemia globale ha senza dubbio reso la domanda posta da questa Biennale ancora più rilevante e appropriata, seppure in qualche modo ironica, visto l’isolamento imposto. Può senz’altro essere una coincidenza che il tema sia stato proposto pochi mesi prima della pandemia. Tuttavia, sono proprio le ragioni che inizialmente ci hanno portato a porre questa domanda – l’intensificarsi della crisi climatica, i massicci spostamenti di popolazione, le instabilità politiche in tutto il mondo e le crescenti disuguaglianze razziali, sociali ed economiche, tra le altre – a condurci verso questa pandemia e a diventare ancora più rilevanti.

Non possiamo più aspettare che siano i politici a proporre un percorso verso un futuro migliore. Mentre la politica continua a dividere e isolare, attraverso l’architettura possiamo offrire modi alternativi di vivere insieme. La Biennale Architettura 2021 è motivata dai nuovi problemi che il mondo sta ponendo all’architettura, ma è anche ispirata dall’attivismo emergente di giovani architetti e dalle radicali revisioni proposte dalla professione dell’architettura per affrontare queste sfide.”

La Mostra è organizzata in cinque aree tematiche:

Among Diverse Beings

  • Designing for New Bodies: affrontare i cambiamenti nella percezione e concezione del corpo umano;
  • Living with Other Beings: mettere in primo piano l’empatia e l’impegno nei confronti di altri esseri.

As New Households

  • Catering to New Demographics: rispondere ai cambiamenti della composizione delle famiglie e alla loro densità;
  • Inhabiting New Tectonics: esplorare le tecnologie che consentono la costruzione di alloggi innovativi;
  • Living Apart Together: espandere le potenzialità del condominio come una tipologia abitativa collettiva.

As Emerging Communities

  • Appealing to Civicness; ricercare nuovi modi in cui le comunità si possono organizzare lo spazio;
  • Reequipping Society: proporre nuove forme di attrezzature sociali (parchi, scuole, ospedali e altro);
  • Coming Together in Venice: immaginare il futuro di Venezia alla luce delle sfide causate dall’innalzamento del livello del mare, dalla pandemia e dal cambiamento demografico;
  • Co-Habitats: mostrare come viviamo insieme… ad Addis Abeba, nel campo profughi di Azraq, a Beirut, a Hong Kong, nei corridoi India-Pakistan, in un insediamento abusivo a Lagos rispetto a uno al Cairo e un altro a Guadalajara, a New York, a Pristina, a Rio de Janeiro e nell’area di San Paolo.

Across Borders

  • Transcending the Urban-Rural Divide: mitigare le crescenti differenze sociali ed economiche tra le città globali e l’hinterland globale;
  • Linking the Levant: negoziare le forti divisioni politiche nella regione del Levante;
  • Seeking Refuge: analizzare le sfide spaziali del dislocamento forzato;
  • Resourcing Resources: proporre una migliore distribuzione delle nostre risorse comuni;
  • Protecting Global Commons: portare l’immaginario architettonico a impegnarsi per il nostro patrimonio naturale in via di estinzione come i Poli, l’Amazzonia, gli Oceani, la regione Indo-Pacifica e l’aria.

As One Planet

  • Making Worlds: anticipare e regolare il futuro del pianeta;
  • Designing the Assembly of the Future: proporre un futuro speculativo più che umano alle Nazioni Unite;
  • Changing Designs for Climate Change: presentare soluzioni per far fronte al degrado globale dell’ambiente;
  • Networking Space: collegamenti tra la Terra e lo Spazio.

Nella mostra siamo già oltre la transizione, tutti i progetti esprimono la consapevolezza della ineluttabilità e contemporaneamente della necessità e desiderabilità del cambiamento. Le soluzioni abitative, i progetti delle città, sono proposte fondate sullo studio delle condizioni in divenire del pianeta e dei suoi abitanti, tutto/i in movimento, dell’esaurirsi delle risorse e della necessità di nuove soluzioni, sempre incentrate sull’eliminazione dello spreco e del consumo, e sull’essenziale, insieme.

Anche alla 78a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, organizzata dalla Biennale di Venezia e diretta da Alberto Barbera, si sente che siamo oltre la transizione e già nel futuro così come deve essere, ma come in realtà già è, in barba ad un dibattito pubblico e propagandistico che si accapiglia sul genere, sui diritti, sui migranti, un dibattito falso e falsificante.

In alcuni film delle prime giornate questo mi è parso evidente. Innanzitutto la decostruzione della famiglia tradizionale e la normalità dei legami più allargati, fra genitori e figli, propri o degli altri, fratelli e sorelle, donne e uomini e donne. Nelle madri parallele di Almodovar, dalla ricerca delle radici in una fossa comune alla promessa di un futuro perduta e poi ritrovata, insieme. Nel paradiso del pavone, che si innamora di una colomba in un quadro e poi cerca di inseguire quella che si era posata sulla ringhiera e precipita dal balcone, mentre fra gli umani si creano, si disfano, si scoprono, si inventano legami. Il coraggio della ragazza che ha volato, nonostante tutto. E poi la scomposizione e la ricomposizione diversa dei ruoli nell’Aria ferma di un carcere in una condizione straordinaria.

E siamo nel futuro anche nelle parole di un giovane vecchio, che ne ha viste tante e ne ha fatte altrettante, quando commosso e divertito riceve la targa dalle mani del Presidente della Biennale, Roberto Cicutto, per l’omaggio che per la prima volta la Mostra, le Giornate degli Autori e la Settimana Internazionale della Critica hanno celebrato insieme per un autore, per “il percorso di un artista che ha contribuito alla crescita dell’arte cinematografica non solo con l’impegno in prima persona, ma anche come intellettuale, osservatore attento e implacabile della realtà, ed organizzatore culturale, e attraverso la collaborazione offerta ad altri grandi maestri del nostro cinema, grazie al suo ruolo fondamentale all’interno e alla testa dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici. … Un fulgido esempio di autore, capace di far coincidere perfettamente estetica ed etica”.

E Cicutto voleva tenere la targa mentre chiedeva a Citto Maselli di dire qualcosa, ma lui invece la voleva tenere in grembo, e poi ha detto che dedicava questo omaggio a Luchino Visconti, “da cui ho imparato tanto, che mi ha insegnato la responsabilità che ciascuno di noi ha quando fa un film, responsabilità umana, sociale, e quindi in definitiva politica.”

E poi ha detto: “Io sono comunista da quando avevo quattordici anni, e poi lo sono rimasto, sono nel comitato politico del Partito della Rifondazione Comunista, sono molto orgoglioso di essere stato e di essere comunista, perché penso che con questo omaggio, ricevuto a novant’anni, forse si riconosce che io in qualche modo ho contribuito, anche se in minima parte, al cambiamento di questa società, una società terribile e piena di ingiustizie e sofferenza, e credo che non solo debba essere cambiata, ma è necessario che sia cambiata, e per questo io continuo a militare e penso che l’arte, come diceva Luchino, dà una responsabilità e una possibilità di influire, in qualche modo di contribuire a una presa di coscienza generale. Quindi vi ringrazio enormemente.”

Viva Citto ! con lo sguardo rivolto a un futuro più giusto.

 

Paola Boffo

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