Riprendiamo da patriaindipendente.it l’articolo di Bianca Tognolo – A Milano, alla Casa della Memoria, un convegno promosso dal Coordinamento nazionale Donne Anpi, nell’ambito delle celebrazioni organizzate dall’associazione tutta nel triennio di anniversari, ha puntato i riflettori sulla presenza femminile nella lotta per liberare l’Italia dal nazifascismo. Le partigiane e le antifasciste non furono solo “staffette” e collaboratrici degli uomini, ma combattenti in prima linea, con e senza armi. Il racconto a volte inedito delle tante azioni e dei conflitti sociali, sindacali e di crescita politica di cui furono protagoniste.
Quello che si è svolto il 23 marzo scorso alla Casa della Memoria di Milano è stato un dialogo con le antenate o con le sorelle maggiori delle quali si è ascoltata la voce nelle testimonianze lette dalle compagne intervenute al convegno Dagli scioperi alla Liberazione: Le donne protagoniste della libertà promosso dal Coordinamento nazionale Donne Anpi nell’ambito delle celebrazioni dell’80° organizzate dall’Associazione tutta.
L’intervento di apertura di Tamara Ferretti, responsabile Coordinamento nazionale Donne Anpi e componente della Segreteria nazionale dell’Associazione. A presiedere il convegno, Mari Franceschini, vicepresidente nazionale Anpi e componente esecutivo Fir.
E le loro voci (anche trasmesse in diretta Facebook sul social dell’associazione dei partigiani) ci hanno restituito un’immagine ben diversa da quella della staffetta, partigiana “di complemento” alle brigate quasi esclusivamente maschili. Di molte di loro, dopo la Liberazione, non è rimasta nemmeno la voce, quando scelsero – o vi furono costrette – di tornare nell’ombra, nella convinzione di non avere fatto nulla di importante, ma solo “quello che era giusto”: nascondere, vestire, nutrire, curare i renitenti alla leva della Rsi e i soldati degli eserciti alleati, per quello che Benedetta Tobagi definisce maternage, mentre Arrigo Boldrini riconosceva che senza il contributo delle donne, delle tante donne con o senza armi, la Resistenza non ci sarebbe stata.
Il saluto del presidente provinciale Anpi Milano, Primo Minelli: “La vostra e la nostra è una battaglia non ancora finita, perché abbiamo ancora molta strada da fare”.
Ma quando, su mandato del Cln, si costituirono i “Gruppi di difesa della donna”, molte di loro, come Ada Prospero, la vedova di Piero Gobetti, misero subito in discussione l’allusione a una presunta debolezza delle donne, che quindi dovevano essere “difese”, per affermare invece con forza e convinzione i diritti della donna.
Fu quindi in nome della parità giuridica, politica ed economica che tante di loro decisero di partecipare attivamente e consapevolmente alla Resistenza, alla costruzione di una società più giusta, con o senza armi. Lo ha sottolineato Tamara Ferretti, responsabile del Coordinamento nazionale Donne Anpi, nell’intervento di apertura dell’incontro. “Gli scioperi nacquero spesso come iniziative spontanee, ma alla cui base c’era la ripresa di attività e di rete delle organizzazioni che il fascismo aveva ridotto in clandestinità, che rappresentarono una svolta radicale nella lotta contro la guerra e l’occupazione nazifascista, contribuendo in maniera determinante alla rinascita della coscienza civile e democratica del Paese. Mobilitazioni pagate con arresti, torture, deportazioni, la morte”.
Un impegno che a molte non verrà riconosciuto, quando, dopo la Liberazione, si vedranno negare la qualifica di partigiane, se non erano state combattenti armate, ma anche quando si decisero le candidature alle elezioni politiche, privilegiando i maschi.
Un primo risultato però riuscirono a ottenerlo quando in piena guerra e sotto l’occupazione nazifascista, unico caso in Europa, vennero riconosciuti i diritti delle donne, a partire dalla parità di trattamento salariale tra uomini e donne, nel Contratto della Montagna, stipulato nel marzo del 1945 sulle montagne biellesi, a conclusione degli incontri clandestini iniziati nel giugno 1944 tra rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori, con la protezione delle formazioni partigiane.
Arianna Cesarone, componente comitato Nazionale, presidente Anpi San Fruttuoso, ha avviato con il suo lavoro i contributi del Coordinamento nazionale Donne Anpi dai territori.
E vale la pena ricordare che, nella sia pur breve esperienza della Libera Repubblica di Carnia, al governo c’era una importante componente femminile.
Pace e pane erano le parole d’ordine delle donne e per questo furono protagoniste attive negli scioperi del 1943 e del 1944. Lo ha ricordato la partigiana Mirella Alloisio, 98 anni, in un messaggio video registrato, dicendo che le donne parteciparono alla Resistenza per fare guerra alla guerra, e lo ha ribadito la coetanea Sandra Girardelli in presenza, rendendo omaggio alle tante compagne di allora, montanare e contadine del Verbano. La chiamata allo sciopero e a manifestazioni di protesta in molti casi venne proprio dalle donne, che in molte fabbriche erano la maggioranza perché gli uomini erano al fronte o combattevano nella lotta di Liberazione.
Scioperi pagati con arresti, torture, fucilazioni, deportazioni – ha detto Tamara Ferretti, responsabile del Coordinamento nazionale Donne Anpi, aprendo il convegno collocato nelle iniziative dedicate all’80° –. Scioperi che però segnarono una svolta radicale nelle sorti del conflitto bellico e dell’occupazione nazista, perché il Paese, la stragrande maggioranza del Paese, sia quella che aveva subito le violenze e la protervia della dittatura fascista, sia quella che la aveva passivamente assecondata e anche acclamata, scelse da che parte stare. E anche le donne scelsero da che parte stare. Manifestazioni nate in molti casi da reazioni ‘spontaneee’, ma alla cui base c’era la ripresa di attività e di rete delle organizzazioni che il fascismo aveva ridotto in clandestinità”.
È il caso di Carrara quando il 7 luglio 1944, di fronte all’ordine di evacuazione della città emanato dal comando tedesco, furono le donne a ribellarsi senza armi e a salvare la loro città insieme ai suoi abitanti. Come le compagne toscane, così le operaie forlivesi, guidate da Liliana Vasumini e Ida Valbonesi, a cui il 28 marzo 1944 si unirono le contadine venute dalle campagne per la marcia di Via Ripa, riuscirono a convincere il presidente del Tribunale, con il consenso del prefetto di Forlì, a commutare in detenzione la pena di morte già decretata per dieci giovanissimi renitenti alla leva.
Ardemia Oriani, comitato provinciale Anpi Milano e componente del Coordinamento nazionale donne Anpi. Al tavolo della presidenza, oltre a Tamara Ferretti e Mari Franceschini, anche Carlo Ghezzi, vicepresidente nazionale vicario Anpi.
“Pane e pace”, dunque – ha tenuto a sottolineare la coordinatrice nazionale Donne Anpi – sono le due parole che hanno accompagnato le donne dall’antifascismo alla Resistenza e poi nella ricostruzione e nella rinascita del Paese. Un tutt’uno di storia, di lotte, di sofferenze ma anche di tante conquiste, di diritti per le donne e per l’intera società italiana: “Parole antiche e parole nuove che, insieme, sentiamo il dovere di scandire con forza perché vanno di pari passo e accompagnano il bisogno di libertà, di diritti, di autodeterminazione, di parità e di pari opportunità gridato da tante donne delle aree più disperate del mondo ma anche da tanti ‘civilissimi’ Paesi europei, compreso il nostro, dove lo spaventoso numero di femminicidi fa da specchio rifrangente al degrado sociale e culturale, all’assenza di servizi, alle disparità salariali”.
Scioperi e manifestazioni che nel 1944 non avevano come obbiettivi solo aumenti salariali e incrementi delle tessere annonarie, ma furono atti politici, tanto più rischiosi perché rivolti contro gli occupanti tedeschi, non solo contro i padroni: una aperta sfida al regime nazifascista e nel caso di Forlì proprio nella “città del duce”, alleato dei nazisti occupanti. “Fuori tutte!” gridò Maria Zonta il 10 aprile 1944 alle compagne dello stabilimento della Snia Viscosa di Padova, per chiamarle allo sciopero, azione che pagò subito con l’arresto, pesanti interrogatori a cui resistette senza tradire i compagni, e poi con il trasferimento nel lager di Bolzano e infine in quello di Ravensbrück, dove rimase fino alla Liberazione.
Ambra Laurenzi, presidente del Comitato internazionale di Ravensbruck.
E di quel campo, destinato alle donne, ha raccontato Ambra Laurenzi, presidente del Comitato internazionale di Ravensbruck, il famigerato lager delle donne, figlia e nipote di due deportate politiche a Ravensbrück, Mirella Stanzione e Nina Tantini, che, insieme a tante altre, misero in atto un’altra forma di “resistenza”, quella di conservare l’umanità e insieme ad essa la femminilità, in un contesto così brutale, sorreggendosi l’una con l’altra, come quando la nonna di Ambra, vedendo la figlia e l’amica piangere, le fece sorridere dicendo “Allora stasera dove vi porto a ballare?”.
Ma nelle baracche del campo si praticò anche un’altra forma di resistenza, tutta politica, come quando Teresa Noce l’8 marzo organizzò un “convegno” per dare consapevolezza dei diritti delle donne alle compagne meno politicizzate, o ancora quando si inventavano modi per rallentare fino a boicottarlo il lavoro nelle fabbriche di armi tedesche in cui le internate erano costrette a lavorare.
L’immagine di un partigianato femminile solo di complemento a quello maschile è contraddetta anche da chi decise di prendere le armi, come è stato raccontato, ricordando le due giovanissime compagne di Castello Tesino, Ancilla Marighetto e Clorinda Menguzzato, entrate nel battaglione garibaldino “Gherlenda”, catturate nel corso di azioni sulle montagne trentine e fucilate senza aver denunciato i compagni, nonostante le violenze subite. La diciottenne Ancilla (la più giovane tra le donne insignite dell’onorificenza) e la ventunenne Clorinda sono tra le 19 donne decorate con la Medaglia d’Oro al Valor Militare della Resistenza.
Anche nel loro caso la scelta delle armi fu una scelta di “violenza incolpevole” accettata solo per fare la guerra alla guerra (espressione usata da Mirella Alloisio nel libro Volontarie della Libertà) e non è un caso se Celestino Marighetto, che aveva subito la perdita della sorella Ancilla e del padre, a sua volta fucilato dai tedeschi, dopo la Liberazione rinunciò a chiedere l’estradizione del capitano Hegenbart, che aveva ucciso la sorella.
Mancava finora un quadro capace di raccontare il ruolo di primo piano delle donne negli scioperi di 80 anni fa e così, ha tenuto a precisare Tamara Ferretti, “il convegno di Milano ha cercato di costruire un puzzle capace di rappresentare e dare voce all’insieme delle realtà regionali più significativamente coinvolte, in un lavoro collettivo e di squadra definito autonomamente da ogni singola realtà territoriale italiana ed estera”.
Oltre alle voci e alle esperienze delle donne risuonate nella Casa della Memoria di Milano attraverso il Coordinamento donne Anpi, abbiamo ascoltato il contributo di Daniela Padoan, presidente di Libertà e Giustizia, scrittrice, saggista, che si occupa da anni di razzismo e dei totalitarismi del Novecento, con particolare attenzione alla testimonianza delle dittature e alle pratiche di resistenza femminile ai regimi.
Padoan è partita dal titolo della celebre poesia di Primo Levi “Se questo è un uomo” per ricordare che il secondo capoverso continua parlando delle donne: “Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno”.
E da quelle parole raccontare la condizione del mondo femminale ad Auschwitz e Birkenau, addirittura peggiore rispetto agli uomini. Ma a Treblinka non sopravvisse quasi nessuna donna e a Bełżec neppure una. Eppure anche in quei luoghi estremi dell’annientamento ci fu resistenza reale, ha confermato Padoan, di donne di ogni nazionalità. Anche prendersi cura di un corpo destinato a sparire nei crematori era una forma di resistenza, e così era un rivendicare il proprio orgoglio quando, liberate, le donne vorranno mostrarsi al meglio possibile. Per ricominciare, per ricostruire, per dire “mai più”.
Si è continuato con altre storiche di alto profilo, quali Marta Verginella, Anne Morelli, Regina Giraud, vicepresidente della Fir ed esponente VVN-BdA, associazione dei perseguitati del regime nazista-associazione degli antifascisti, a raccontare la Resistenza europea delle donne, che fu sovranazionale.
Alcune ebbero incarichi delicatissimi, lo spionaggio, la formazione e l’organizzazione di altre donne con lezioni autogestite di politica. E non va dimenticato che molte nell’universo concentrazionario, per esempio le slovene, furono internate in campi fascisti, italianissimi.
In conclusione del convegno, la proiezione del bel film di Silvia Folchi, componente del Comitato nazionale Anpi. “Le bandiere della pace”
Per tutte le donne ricordate, alcune per la prima volta, con o senza armi l’obiettivo era lo stesso: pace, pane e libertà, come ancora nel 1978 il partigiano Sandro Pertini, diventato presidente della Repubblica, tornava a reclamare: “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, e si colmino i granai sorgente di vita”. Parole che sono tornate in tutti gli interventi del convegno, rese oggi tanto più attuali, in questo clima egemonizzato da un folle, irresponsabile bellicismo, che non tollera alcuna voce critica.