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5 novembre in piazza

di Stefano
Galieni

Ormai anche chi non è di Roma conosce l’importanza e il valore simbolico di Piazza Vittorio. Per tante ragioni, la sua vicinanza alla stazione Termini, la presenza nei pressi di piccoli ed economici hotel, poi il suo spopolamento, l’hanno fatta divenire ormai da decenni una piazza multiculturale viva. A chi la indicava come luogo di degrado e di pericolo, le persone che sono andate ad abitare nei palazzi circostanti, provenienti soprattutto dal continente asiatico ma in realtà da gran parte del mondo, hanno dimostrato che invece la convivenza produce ricchezza, sviluppo, vita sociale. Non è un paradiso, come non lo è in generale la città, ma ha una sua dimensione sociale spesso sconosciuta o dimenticata in altri luoghi. Certo permane l’osceno traffico degli affitti in cui le persone vivono a volte ammassate e i negozi hanno ormai insieme che ne dimostrano il carattere cosmopolita in tutte le sue sfaccettature, ma lì sono nate scuole in cui si è cambiato il modo di far crescere bambini con lingue e culture diverse, lì sono sorte attività culturali e artistiche, basti pensare alla mitica Orchestra di Piazza Vittorio, lì si è capito, anche passando attraverso sofferenze che ipotesi di futuro diverso sono possibili. Non è casuale che gli organizzatori della manifestazione nazionale che si terrà il 5 novembre, l’abbiano designata come adatta. Le ragioni sono negli stessi punti programmatici per cui la piazza è stata convocata.

“Non per noi ma per tutte e tutti” il nome scelto per la “mobilitazione nazionale contro le diseguaglianze e l’esclusione, per la giustizia sociale e ambientale”, anch’esso adeguato visto che mentre scriviamo hanno aderito oltre 500 realtà associative, ambientali, cooperative sociali, movimenti ambientali, presidi antimafia, realtà femministe, forze politiche (poche), sociali, sindacali, di uomini e donne che resistono agendo nel concreto dove più si addensano le sofferenze, i disagi, la mancanza di prospettiva ma in cui non ci si arrende alla ricerca disperata di una soluzione individuale fondata sul mors tua vita mea verso chi è più vulnerabile. Ad un appello che denuncia la drammaticità della situazione del Paese (www.5novembreinpiazza.it) continuano a giungere adesioni (5novembreinpiazza@gmail.com ) e questo perché insieme alle denunce, alle terribili cifre, fotografia di un mondo sommerso che poche forze politiche hanno provato ad ascoltare, ci sono proposte precise programmatiche e di puro buon senso.

Tutto in 7 capitoli: 1) la realizzazione di pilastri sociali europei che comprendano il rafforzamento del reddito di cittadinanza; garantire un’offerta di servizi sociali di qualità attraverso maggiori investimenti sulla riforma del welfare che coinvolga il Terzo settore rafforzando pratiche rigenerative e welfare di comunità; garantire il diritto all’abitare attraverso politiche strutturali finalizzate all’implementazione degli alloggi pubblici, recuperando il patrimonio pubblico e privato senza consumo di suolo. 2) Introduzione di un salario minimo per legge che coincida con i minimi contrattuali e non diventi uno strumento di sostituzione del contratto di lavoro. Questo ridurrebbe la diseguaglianza sociale, proteggerebbe i lavoratori e le lavoratrici da salari estremamente bassi, restituirebbe dignità al lavoro e non altererebbe il ruolo della contrattazione collettiva nazionale fra governo e parti sociali. 3) Realizzare una riconversione ecologica pianificata (pubblica) inclusiva (giusta per lavoratori e lavoratrici), equa (che venga pagata dai ricchi e da chi inquina di più), partecipata (comunità territoriali coinvolte e i saperi condivisi), con l’obiettivo di creare posti di lavoro dignitoso, rafforzare la salute pubblica, la partecipazione dei cittadini e la salvaguardia dei nostri ecosistemi. 4) Applicazione del metodo della co-programmazione e co-progettazione per rafforzare partecipazione e inclusione dei soggetti sociali nelle scelte che riguardano gli ambiti più importanti della vita e i modelli di sviluppo sui territori, per contrastare astensionismo e penetrazione mafiosa, sulla base di quanto stabilito dalla sentenza n.131/2020 e dell’art.3 del Codice di Partenariato Europeo (da applicare dal livello locale a quello europeo). 5) Istituzione da parte degli Enti Locali di consulte cittadine sul modello dei Forum per i beni sequestrati e confiscati alla criminalizzata e alle mafie da poco realizzato dal Comune di Roma, all’interno del quale, applicando il metodo della co-programmazione del Terzo Settore, promuovere pratiche rigenerative di welfare di comunità e mutualismo sui territori, costruendo memoria collettiva. 6) Ritiro di ogni proposta e Disegno di Legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata che mina l’unità della Repubblica e aumenta le diseguaglianze nella fruizione dei diritti e per l’apertura di un grande e trasparente dibattito pubblico su un tema sostanzialmente secretato. Per la cancellazione del comma 3 dell’art. 116 della Costituzione, che impedirebbe definitivamente alle Regioni a statuto ordinario di accedere ad ulteriori forme e condizioni particolari di “autonomia” definendo diritti sociali disomogenei fra Regione e Regione e non invece uniformi su tutto il territorio nazionale. 7) Su immigrazione, accoglienza e solidarietà: mettere fine alle politiche di esternalizzazione delle frontiere e ai respingimenti su procura a partire dal Memorandum Italia Libia; modificare l’art.12 del Testo Unico sull’Immigrazione, accogliendo la direttiva 2002/90CE del Consiglio, che esclude i solidali dall’applicabilità del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; rispettare i termini previsti dalla legge per la formalizzazione della domanda di protezione e l’assegnazione del centro, privilegiando l’accoglienza diffusa, investire in servizi e politiche di autodeterminazione individuale in modo da prevenire l’emarginazione sociale; ristabilire lo stato di diritto per i boat driver accusati ingiustamente di scafismo e detenuti per anni nelle carceri italiane.

Abbiamo scelto volutamente di riportare pedissequamente i 7 punti in quanto frutto di un lavoro collettivo, elaborato da soggetti che rappresentano un mondo non omogeneo e che hanno trovato però una convergenza alta capace di parlare di realtà, di dignità, di modalità semplici per affrontare diseguaglianze e assenza di futuro. La mobilitazione, che prevede appuntamenti intermedi in numerose città ha numerose caratteristiche innovative. I promotori intanto dichiarano che invitano tutte coloro che condividono le parole fondamentali: pace, giustizia sociale e ambientale. Contro disuguaglianze ed esclusione e che contemporaneamente si impegnano a partecipare ad ogni mobilitazione che si realizzi su questi temi.

Nella conferenza stampa che si è tenuta lunedì 10 ottobre, presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana a Roma, tante le voci che si sono alzate per promuovere l’appuntamento che non vuole e non deve restare unico, partito dal basso attraverso un grande esercizio di ascolto e di confronto.

La Rete dei numeri pari, rappresentata da Giuseppe De Marzo, fra le realtà che più si stanno impegnando per la riuscita della mobilitazione ha aperto l’incontro. De Marzo ha parlato di come pandemia, guerra e crisi non hanno fatto si che la classe politica avesse un sussulto. «Eravamo pronti per scendere in piazza il 22 ottobre contro l’ “agenda Draghi” – ha dichiarato – poi c’è stata la crisi di governo ma abbiamo mantenuto, spostandola, la mobilitazione, perché se non si interviene sulle questioni che stiamo sollevando, per il nostro Paese, le prospettive sono catastrofiche. Più diseguaglianze, povertà, dispersione scolastica, precarietà lavorativa, sfratti, welfare sostitutivo mafioso, insicurezza sociale a fronte di meno cultura, partecipazione e democrazia. Non ce lo possiamo permettere. Abbiamo bisogno di pace e questa la si costruisce con la giustizia sociale, i diritti, sganciandosi dal petrolio, dal carbone, dai ricatti internazionali, cambiando modello produttivo e attuando la Costituzione. Le nostre proposte di buon senso si basano sui principi di questa e della Carta Europea».

Ha poi ricordato come, durante la campagna elettorale, si sia provato a presentare queste proposte alle forze politiche ma soltanto Unione Popolare e il M5S, hanno voluto incontrare e ascoltare i promotori. Ma sono stati molteplici gli interventi dal costituzionalista Gaetano Azzariti che, citando il celebre “discorso ai giovani” di Piero Calamandrei, ha enunciato le ragioni, non certo elettorali, per cui oggi più che mai, è necessario difendere la nostra Carta fondativa. Di “lavoro buono da creare” ha parlato invece il Segretario della Cgil di Roma e Lazio, Michele Azzolla che però ha toccato anche il tema annoso delle bollette, degli affitti, del costo dei beni primari. “liberare lavoratori e lavoratrici dal ricatto del lavoro povero, precario, senza garanzie, come è stato negli ultimi 20 anni Certo, viene da aggiungere, avrebbe fatto piacere sentire parole di autocritica sui danni provocati dalle politiche di concertazione che hanno facilitato tali disastri ma oggi l’importante è tornare a schierarsi. Duro l’intervento di Alice Basiglini, di Baobab Experience che ha denunciato come negli anni i governi che si sono succeduti abbiano deciso di pagare con i soldi dei contribuenti, i respingimenti e il mercato e il mercato degli schiavi, lasciando le persone morire in mare e nelle carceri libiche ed è difficile pensare che in futuro sarà diverso. Ha definito una condizione di “sottosopra” quanto si sta vivendo chiedendo di mobilitarsi anche utilizzando l’esempio dei tanti volontari e volontarie, che hanno agito in contrapposizione ad uno Stato che avrebbe le risorse umane ed economiche per risolvere i problemi ma che ha deciso di non fare e di non rispettare obblighi costituzionali, internazionali, etici e morali. E se Luigi Ciotti, intervenuto con un contributo video, ha parlato di politica assente, latitante, spesso a mano armata, anzi sicario di un sistema economico che induce alla povertà e distrugge vite e speranze, trasformando diritti in privilegi. Questi per il Presidente di Libera e del Gruppo Abele, sono i veri nemici della pace. Maura Cossutta, Presidente della Casa Internazionale delle Donne, di Roma, ha portato il valore fondamentale del femminismo per realizzare il cambiamento. La pratica dell’ascolto e della costruzione, che da sempre appartiene ai movimenti delle donne basate sull’intersezionalità, è per Cossutta una spinta forte ad essere in una mobilitazione plurale come quella che si sta costruendo. Denso l’intervento di Michele De Palma, Segretario Generale della FIOM-CGIL: «Da quando ho questo incarico – ha dichiarato – giro per grandi e piccole fabbriche, incontro lavoratrici e lavoratori che spesso hanno votato a destra o non hanno votato. Un mondo da ascoltare per comprendere cosa possiamo e dobbiamo fare. Ho capito bene che nessuno si salva da solo e abbiamo bisogno di alleanze larghe. Ci saremo il 5 novembre ma invitiamo tutte e tutti a essere dal 21 al 23 ottobre in varie città, insieme alla Rete pace e disarmo, mettendo al centro il lavoro e la pace. Per noi la costituzione resta la via maestra e non permetteremo venga violata». Ancora contro la guerra ha aggiunto una frase amara ma rivelatrice: «oggi la guerra è diventata la prosecuzione dell’economia con altri mezzi, (parafrasando von Clausewitz) per questo c’è bisogno di rimettere al centro la politica, quella vera». Le cifre fornite da Walter De Cesaris, Segretario nazionale Unione Inquilini, non finiscono sulle prime pagine dei media mainstream. 900 mila le famiglie in affitto ora in povertà assoluta, quasi la metà di quelle povere, 650 mila nuclei nelle graduatorie mentre i senza casa continuano a rimanere invisibili. La richiesta che Unione Inquilini intende porre è netta: un piano quinquennale di politiche abitative strutturali che possa finalmente restituire dignità alle persone che oggi sono private del diritto all’abitare. Federico Dolce, di Diem25, organizzazione europea ha fatto il raffronto con gli altri Paesi UE, affermando che l’Italia è riuscita a raggiungere il peggior risultato sotto tanti aspetti. Per questa ragione si guarda con attenzione ad una mobilitazione diversa. Giuseppe Giulietti, Presidente della FNSI, quindi ospitante, è giunto in ritardo perché impegnato nella scorta mediatica al processo che vede lottare la famiglia Regeni contro i tentativi di bloccare il processo per la morte di Giulio, è intervenuto con passione, come suo solito, parlando della necessità di tenere collegati gli articoli 3 e 21 della Costituzione. La libertà di informare in connessione con la necessità di rimuovere le cause della diseguaglianza. Ha dato un grande valore ad una mobilitazione in cui diritti sociali e civili sono perfettamente coniugati ed ha invitato a continuare a mobilitarsi contro la guerra. Loretta Mussi ha denunciato il rischio che con l’Autonomia differenziata le Regioni del Nord si illudano di potersi avvicinare alla Germania lasciando alla deriva il resto del Paese. Non sarebbe questo il risultato ma solo da divisione del Paese in 21 piccole repubbliche in cui cittadini e cittadine non avrebbero più gli stessi diritti.

A rappresentare Transform Italia c’era la nostra Elena Mazzoni che ha precisato come: «Scendere in piazza il 5 novembre in modo collettivo, unitario e aperto sia la naturale prosecuzione di un percorso che intraprendiamo dalla nascita come rete di ricerca e azione sulle trasformazione, in particolar modo del mondo del lavoro, la rappresentanza, le forme di fare politica e praticare democrazia. All’agenda governativa contrapponiamo un’agenda sociale per eliminare le diseguaglianze e valorizzare le diversità, per la giustizia sociale, economica e ambientale. L’unica strada, a nostro avviso, per raggiungere la pace». Durissimo e toccante l’intervento di Andrea Morniroli, co- coordinatore del Forum Diseguaglianze e Diversità. Ha raccontato di come un minorenne a Napoli che abbandona la scuola per aiutare la famiglia si trovi a lavorare, al nero, dalle 7 di mattina alle 5 del pomeriggio per 350 euro al mese e si ritrovi a piangere se perde il lavoro, come se quello non fosse uno squallido sfruttamento. «Per cambiare direzione, occorre istituire un salario minimo, perché nel nostro Paese ci sono troppe lavoratrici e troppi lavoratori che vivono il lavoro come un dono e non come un diritto». Ha concluso. Torneremo ancora su questa mobilitazione che parla un linguaggio lontano dal teatrino di una politica che ha perso ogni legame con la realtà. Per chi intende ridare dignità a questa bella parola, beh la piazza del 5 novembre e le tante altre che si preparano in questi giorni saranno occasione per scegliere da che parte stare.

Stefano Galieni

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