Il leader del Partito Laburista che è succeduto a Jeremy Corbin, benché figura piuttosto sbiadita e poco carismatica, si è imposto con la determinazione di realizzare pienamente la normalizzazione politica del partito e di ricollocarlo in quanto forza affidabile per l’establishment britannico.
Eletto nelle votazioni interne come promotore di una correzione in senso moderato delle politiche laburiste corbyniane ma non di un loro totale ribaltamento e sostenuto per questo anche da figure intellettuali di sinistra come Paul Mason, in realtà Starmer ha imposto una radicale svolta a destra su tutte le maggiori tematiche.
Ma il primo obbiettivo è stato di utilizzare qualsiasi pretesto, compreso accuse, nella grande maggioranza dei casi puramente strumentali, di antisemitismo. Una campagna iniziata quasi da subito nel momento in cui Corbyn, che ha una lunga e coerente tradizione di sostegno alla causa palestinese, conquistò a sorpresa la leadership del partito. Questo argomento viene mantenuto come una spada di Damocle contro qualsiasi esponente della sinistra a qualsiasi livello possa aspirare ad una candidatura o ad un ruolo politico nel partito.
Il Labour Party storicamente e anche grazie al sistema elettorale seccamente maggioritario che lo ha largamente beneficiato si è sempre presentato come una “broad Church”, una grande chiesa nella quale potevano trovare posto esponenti di quasi tutte le correnti socialiste anche quelle più estreme. Questo ha permesso ad alcune organizzazioni trotskiste (come la Tendenza Militant), in alcuni momenti favorevoli, di acquisire un certo peso, riuscendo ad eleggere parlamentari e a conquistare il controllo di alcune significative organizzazioni sindacali, oltre che di importanti municipi come Liverpool.
Dopo le dimissioni di Corbyn seguite alla sconfitta elettorale del 2019, l’apparato laburista ha puntato ad eliminare non solo quelle che, nella stampa moderata e conservatrice inglese, venivano definite come le “frange lunatiche” ma anche figure di primo piano della sinistra a partire dall’esclusione dal gruppo parlamentare e dalla possibilità di una ricandidatura dello stesso Corbyn alle prossime elezioni parlamentari. L’establishment laburista non vuole correre il rischio di una ripetizione di quanto accaduto nel 2015 quando, del tutto a sorpresa, un leader della sinistra radicale interna conquistò la guida del partito. Da quel momento la macchina politica tradizionale ha lavorato attivamente per la sua sconfitta. Inaspettatamente il risultato del 2017, in cui il Labour di Corbyn migliorò i suoi consensi e riuscì ad evitare una nuova maggioranza assoluta dei conservatori, impedì di rovesciarlo e di tornare al “business as usual”. Questo è riuscito nelle successive elezioni anticipate, dominate dal tema della Brexit, già decisa a seguito di un referendum popolare, sul quale lo stesso Corbyn si trovò a gestire una linea politica complicata e oscillante in parte imposta dalla destra interna. Rimettere in discussione la Brexit sembrava in quel momento mettere in discussione la volontà popolare nell’interesse dell’establishment. La reazione di una parte importante dell’elettorato di tradizione laburista delle zone interne si spostò decisamente verso i conservatori, accettando la miscela di retorica anti-immigrazione e di nazionalismo economico spacciata da Boris Johnson.
Starmer ha comunque già dichiarato che non metterà in discussione la Brexit e su questo come su molte altre politiche si muoverà in continuità con le scelte dei Conservatori. Il leader laburista ha già chiarito che non ci saranno maggiori tasse per i grandi ricchi, non ci saranno maggiori fondi per il welfare, non verrà eliminata la norma dei “two childs cap”, secondo la quale le agevolazioni per le famiglie povere valgono solo per i primi due figli, e così via. Anche quando queste politiche godono di un importante consenso nell’opinione pubblica.
Nemmeno ci saranno, ma questo è pienamente aderente alla storia del Labour, che ha sempre aderito alla visione imperialista e filo Usa delle classi dominanti britanniche, mutamenti di indirizzo in politica estera. Il partito che, con Tony Blair, ha partecipato alla guerra in Iraq sulla base di una campagna di consapevoli menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, difficilmente cambierà l’aggressiva politica bellicista finora perseguita sulla guerra in Ucraina. Sempre che il contrordine non arrivi direttamente dalla Casa Bianca.
L’impopolarità raggiunta dai Conservatori e che l’attuale Premier Rishi Sunak non è riuscito a contenere, fa sì che i sondaggi siano decisamente a favore dei laburisti. Si profilerebbe un possibile tracollo del voto conservatore che, secondo un’indagine demoscopica tenuta ai primi di settembre, perderebbe nei confronti dei laburisti con 20 punti percentuali di differenza. Anche se una parte di elettori si sposterebbe verso i liberali o i verdi, il partito di Starmer avrebbe comunque un controllo assoluto della Camera dei Comuni.
La politica laburista è di gestire questo vantaggio dimostrandosi affidabile innanzitutto verso quell’establishment che ha attaccato pesantemente Corbyn, ma che comincia ad essere insoddisfatto di un Partito Conservatore troppo instabile negli equilibri interni e attraversato da tendenze estremiste che negli ultimi anni lo hanno avvicinato sempre più all’estrema destra continentale. Il gruppo all’europarlamento di cui fanno parte la destra polacca e Fratelli d’Italia era nato proprio a seguito della rottura dei Conservatori con la destra mainstream del Partito Popolare.
Pur collocandosi saldamente al centro e in continuità con le politiche “pro-business” dei Conservatori, il Labour ha cercato di non scoprirsi troppo sul versante delle organizzazioni sindacali che pur indebolite restano una riserva importante di risorse (grazie alle donazioni in denaro a cui però oggi si aggiungono cifre importanti che arrivano dal mondo degli affari dopo la caduta di Corbyn) e di mobilitazione elettorale. Ai sindacati ha offerto alcune blande promesse di migliore tutela dei diritti dei lavoratori e di revisione delle leggi anti-sindacali in vigore ormai da anni. Questo offre, quantomeno agli apparati sindacali, qualche speranza di recuperare forza organizzata e quindi influenza pur accettando una politica economica e sociale complessiva che non intacca in alcun modo potere e ricchezza delle classi dominanti.
La coalizione elettorale di Starmer cerca di recuperare il vecchio elettorato delle zone un tempo industriali (il “red wall”) grazie ad un discorso socialmente conservatore e all’accettazione della Brexit come dato di fatto, di mantenere il voto del ceto medio e delle classi dominanti grazie alla promessa di praticare l’austerità di bilancio e di ridurre le tasse, e delle nuove figure sociali, soprattutto precarie, con una minima promessa di maggiori tutele sul lavoro. Rispetto alla politica di Tony Blair risulta decisamente assente la promessa modernista oggi non più praticabile data la crisi della globalizzazione che non ha affatto garantito quel miglioramento complessivo delle condizioni di vita per la quale veniva magnificata.
Dal punto di vista elettorale non sembrano esserci particolari ostacoli al successo laburista. Anche se una qualche preoccupazione serpeggia in vista del voto suppletivo in un collegio scozzese. Ai primi di ottobre gli elettori del collegio di Rutherglen e Hamilton West, nei dintorni di Glasgow, dovranno eleggere un nuovo parlamentare. Quella uscente, dello Scottish National Party, era stata sospesa per essersi presentata alla Camera dei Comuni pur avendo il Covid. Il seggio ha una decennale tradizione laburista ma nelle ultime elezioni era stato conquistato dagli indipendentisti.
Lo Scottish National Party è riuscito a cancellare quasi completamente la rappresentanza parlamentare laburista dalla Scozia, una tradizionale riserva elettorale del Labour. L’SNP è ultimamente entrato in crisi per lo scandalo sull’utilizzo dei fondi che ha colpito il partito e che ha portato alle dimissioni e all’incriminazione di Nicola Sturgeon, la prima ministra scozzese. Il Labour ora cerca di riprendersi il seggio mentre gli indipendentisti puntano a conservarlo attaccando da sinistra la politica ultra moderata di Starmer. Il successo o la sconfitta del Labour, anche secondo osservatori del tutto favorevoli alla nuova linea politica, potrebbe gettare un’ombra sulle reali possibilità di vittoria di questo partito nelle prossime elezioni politiche.
Intanto la sinistra britannica non si è ancora ripresa dalla sconfitta e dalle dimissioni di Corbyn e non è riuscita a reagire alla caccia alle streghe interna messa in atto da Starmer e dall’apparato del partito, con modalità che il giovane Starmer, quando militava in un gruppo trotskista (nella piccola corrente guidata da Michel Pablo, fuoriuscita dalla Quarta Internazionale “ufficiale”) avrebbe certamente definito “staliniste”.
Sarà interessante vedere se Corbyn si presenterà da indipendente e riuscirà a conservare il seggio nel suo collegio nonostante l’ostilità del partito nel quale ha militato per decenni. Ma anche quale sarà l’esito dell’iniziativa di Jamie Driscoll a Londra. Escluso dalla burocrazia laburista dalla possibilità di proporre la propria candidatura, potrebbe comunque presentarsi con un programma politico che punta su una nuova politica industriale a livello locale tesa a collegare l’interesse degli strati popolari con quelli della piccola e media impresa. Non è detto che funzioni ma quantomeno sembra un tentativo di delineare una strategia basata su un’idea economica e sulla costruzione di concrete alleanze sociali come precondizione per il successo politico ed elettorale.
Franco Ferrari