Come già annunciato da settembre, all’interno della rivista settimanale di transform!Italia, daremo vita alla rubrica “Intersezioni femministe”.
Pensiamo di pubblicare un primo contributo nel numero di mercoledì 13 settembre prossimo.
Prima di ogni cosa vogliamo ringraziare tutta la Redazione di Transform!Italia per aver scelto, collettivamente e con convinzione, l’apertura della rubrica.
“Intersezioni femministe”, nelle nostre ambizioni, vorrebbe divenire uno spazio di riflessione, analisi sui temi che riguardano il corpo, i diritti sociali e civili, il potere, la politica, la cultura.
Temi importanti che riguardano il principio di autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita e che, al contempo, delineano il modello di società che si vorrebbe costruire.
Proprio per questo la restaurazione conservatrice, misogina e razzista delle destre che governano il Paese viene giocata anche e soprattutto su questi temi.
L’ossessione sull’eterosessualità e l’enfasi sul modello tradizionale di famiglia, la contrarietà al divorzio, all’aborto, alla libertà di scelta sul proprio corpo, sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale, la retorica sul calo demografico nei paesi occidentali ne sono un esempio concreto.
La scelta dei contributi da pubblicare non sarà casuale.
I nostri riferimenti teorici si collocano all’interno di quelle tendenze femministe e transfemministe che riconoscono, sul piano analitico e pratico, le intersezioni fra le differenti forme di sfruttamento: il genere, la classe, la razza.
Noi crediamo che genere, classe, razza si intersechino in quanto forme storiche che si declinano nei diversi contesti sociali, modellandone le singole soggettività, costituendo al contempo, seppur con contraddizioni permanenti, uno degli strumenti attraverso cui capire i rapporti di potere.
Se tali intrecci non vengono colti non ci potrà essere nessun cambiamento reale dell’ordine presente delle cose.
L’apporto del femminismo intersezionale e tranfemminista, che su questi intrecci ha ragionato e ragiona, ci pare ineludibile.
La rubrica vuole altresì misurarsi con la dimensione politica.
Soffiano venti di destra, non solo in Italia e non solo in Europa.
Nel nostro Paese la carica di Primo Ministro è ricoperta per la prima volta nella storia da una donna. Non una donna qualsiasi ma una con forti e solidi legami con le reti internazionali suprematiste omofobe, misogine e razziste.
Ma questo vento soffia anche in Grecia, in Spagna, in Polonia dove la svolta autoritaria è alle porte.
Il vento di destra non soffia casualmente. Dopo la sconfitta del movimento operaio e della sinistra abbiamo assistito ad una corposa restaurazione capitalista, nella quale ha trionfato un conflitto di classe all’incontrario (come disse bene l’indimenticabile Gallino) e uno stato permanente di crisi (di cui la guerra è l’apice) che ha eroso diritti sociali determinando precarietà di vita e di lavoro. Insieme a ciò si è compiuto un lento e costante declino della democrazia e la costruzione materiale di un’oligarchia vorace e priva di scrupoli.
Tutto è divenuto merce e quindi mercato, fondamento di una controrivoluzione culturale fondata sull’esaltazione dell’individualismo e del fai da te e della ricchezza materiale dentro la quale essere povere è una colpa.
Uno dei movimenti che ha saputo reagire a questa deriva è stato quello femminista: l’ondata femminista, partita dall’Argentina e dal Sud America, ha riportato sulla scena mondiale un femminismo del 99%, per dirla con Fraser, Arruzza e Bhattarcharya, la cui tesi di partenza postula che l’oppressione di genere non è causata da un unico fattore, il sessismo, ma è il prodotto delle intersezioni di sessismo, capitalismo, razzismo, colonialismo.
Un femminismo conflittuale, sbarcato anche in Italia, con il movimento queer e con “Non Una Di Meno”, che ha svelato la debolezza, se non la complicità, del femminismo “della differenza” cioè di quella tendenza femminista, la cui egemonia in Italia è durata a lungo, che ha dato e dà maggior importanza al simbolico piuttosto che alla materialità della vita e che proprio per questo non può essere una risposta adeguata all’attuale fase del capitalismo, e alle sue tante contraddizioni interne.
Di tutto ciò ci piacerebbe dar conto nella rubrica “Intersezioni femministe”.
E ci piacerebbe farlo in dimensione internazionale per poter cogliere appieno la complessità dei processi, delle contraddizioni, dei conflitti che agiscono nel mondo.
Ne siamo sicuramente capaci.
Paola Guazzo e Nicoletta Pirotta