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L’antropizzazione infinita di un mondo finito

di Roberto
Rosso

.Da quasi due anni le conseguenze dello sviluppo della pandemia si dispiegano sotto i nostri occhi hanno cambiato le nostre esistenze, hanno imposto svolte spettacolari nelle politiche degli stati in particolare negli USA, in Cina e nell’Unione Europea, di cui abbiamo già scritto. Sono cambiate le agende politiche.

L’origine della pandemia, come le precedenti, è stata immediatamente collegata -sia pure con diverse ipotesi- al processo di antropizzazione, le modalità con cui tutti gli ambienti, gli ecosistemi sono stati invasi dalle attività e dagli insediamenti umani, sino ad arrivare al punto in cui tutti gli equilibri regionali e globali del clima sono stati alterati. L’orizzonte di una soglia catastrofica nel processo di riscaldamento globale è ormai vicinissimo, oltre gli effetti che un innalzamento di 1,5 gradi centigradi ormai ci garantisce1. Fermare il riscaldamento globale alla soglia di 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale richiede interventi durissimi e radicali sulla organizzazione sociale e produttiva del presente, ciò che ci accadrà già ci accade-come le cronache di queste settimane ci insegnano tra giganteschi incendi, ondate di calore e alluvioni catastrofiche- al di sotto di quella soglia fatidica il cui rispetto è quasi certamente impossibile da rispettare.

L’effetto sconvolgente della pandemia ha accelerato straordinariamente la svolta ecologica nelle strategie delle grandi potenze, delle organizzazioni internazionali, essa caratterizza i grandi programmi di investimento con cui gli stati, supportati dalle banche centrali, rispondono al crollo pandemico delle economie. La riconversione dei sistemi economici e sociali si fonda su un uso intensivo e pervasivo delle tecnologie digitali e necessariamente su un rilancio delle infrastrutture, ogni tipo di infrastruttura, che disegnano un reticolo sempre più fitto sulla superfice del globo, invadono ogni ambiente, si incrociano negli spazi urbani sempre più affollati.

Il processo di antropizzazione si manifesta nel modo più evidente nel patrimonio infrastrutturale, negli agglomerati urbani in cui si concentra ormai oltre il 50% della popolazione mondiale, nelle reti di trasporto dell’energia e delle materie prime energetiche, nelle reti di trasporto dei dati, nei territori trasformati dall’agricoltura industriale. La storia dell’umanità è iscritta nelle vestigia che le diverse civiltà hanno lasciato, la nostra che possiamo indentificare con l’inizio dello sviluppo industriale, sta lasciando sempre più tracce, nei manufatti, nelle tracce lasciate dalle diverse attività antropiche nelle matrici ambientali. L’ impatto dell’antropizzazione si esprime nel cambiamento climatico e nell’estinzione delle specie lascia una tale quantità di tracce da poter permettere di individuare ln un futuro la nostra epoca come una vera propria era geologica, il cosiddetto antropocene -o capitalocene se si vuole fare riferimento alla formazione sociale, al modo di produzione che l’ha determinata.

Nell’utopia dell’economia circolare, il paradigma che dovrebbe guidare la transizione ecologica, il flusso di trasformazione della materia, cristallizzato in un sistema di manufatti sempre più complesso, dovrebbe essere sempre più produttivo, rispetto al consumo di materia ed energia, capace di recuperare, riciclare, riutilizzare i flussi di energia e materia, che man mano si degradano, che i processi di trasformazione disperdono, frutto anche del consumarsi, disgregarsi dei manufatti, nell’affermarsi spietato del secondo principio della termodinamica2. Il confronto tra la durata della pietra e della malta romana con la parabola del cemento armato è sconsolante.

La transizione ecologica unita al rilancio del ciclo economico richiede uno straordinario sforzo di trasformazione della rete infrastrutturale che fa i conti con la condizione delle diverse regioni del globo, ma richiede comunque una inversione di tendenza nell’intervento dello stato nell’economia3 rispetto al dogma neo-liberista.

“La misura più ambiziosa annunciata dall’amministrazione Biden è proprio il piano di investimenti infrastrutturali. Ridotto rispetto alle aspettative iniziali, il piano bipartisan da 1,2 trilioni di dollari al momento in discussione nel Congresso, punta non solo a riparare ponti, strade e linee ferroviarie, ma anche a mettere le basi per la transizione a un’economia post-petrolio, con energie rinnovabili e auto elettriche. Dare priorità a tali investimenti deriva dalla condizione precaria di buona parte delle infrastrutture essenziali (trasporti, energia, utilities, eccetera) a causa di decenni di progressivo disinvestimento. (…) una delle principali ragioni per la percezione di declino vissuta dagli Stati Uniti è proprio la condizione pietosa del suo sistema di trasporti. Mentre la Cina ha ormai decine di migliaia di chilometri di treni ad alta velocità, gli Stati Uniti non ne hanno neppure uno. E mentre tutte le città cinesi sono dotate di trasporti pubblici di ultima generazione, in città statunitensi come New York e San Francisco si usano metropolitane antiquate con treni risalenti agli anni ’70 e primi ‘80. Se un tempo si andava negli Stati Uniti per vedere il futuro adesso vi si va per vedere il passato, mentre l’opposto vale per la Cina.”

L’articolo fa riferimento ad una intervista a la consigliere (top adviser) di Biden, Brian Deese4

Il piano infrastrutturale di Biden è la risposta alla recessione pandemica, ma non solo, corrisponde ad un rafforzamento straordinario dell’intervento dello stato. Le infrastrutture su cui interviene riguardano tanto il trasporto delle merci, delle persone e dell’energia quanto quello delle informazioni, che regola il reticolo dei flussi materiali della società, su quest’quest’ultimo sale di livello il confronto tra i poteri statuali e quello delle grandi corporations del digitale, la cui potenza finanziaria corrisponde alla dimensione delle relazioni sociali che veicolano, della produzione di conoscenze che accumula e mette a valore. Questo accade tanto in Europa quanto negli Usa, ma è soprattutto in Cina che lo scontro di è fatto più aspro ed il governo ha provveduto a limitare l’espansione dei propri campioni digitali. L’intreccio tra poteri statuali, grandi corporations e ruolo del complesso pubblico-privato nel confronto strategico porta a definire negli USA ed in Cina, in forme diverse, porta a definire una forme di ‘capitalismo politico’5. In Cina, rispetto ai due corni problematici che i governi si trovano di fronte per governare le traiettorie dello sviluppo vale dire la trasformazione tecnologica guidata dal digitale ed il cambiamento climatico, i governo ha scelto di intervenire sul primo, mettendo sotto controllo con una serie di interventi legislativi, le società del big tech cinese, e sul secondo intervenendo sullo sviluppo sfrenato delle infrastrutture e degli insediamenti urbani6, la Cina ha 93 città che superano il milione di abitanti. Le piogge particolarmente degli ultimi giorni hanno avuto effetti devastanti per il livello di cementificazione dei territori e la conseguente incapacità di assorbire, almeno in parte, le precipitazioni. La Cina prevede di raggiungere la neutralità climatica nel 2060, cosa che costituisce una clamorosa svolta nella strategia del governo cinese.

Dal punto di vista capitalistico l’Europa, l’Unione Europea appare come un ordine imperfetto, minato nella sua capacità di competere sul piano globale, di definire una progettualità strategica unitaria, nonostante gli sforzi in corso di cui abbiamo già dato notizia.

L’Unione cerca di unire l’obiettivo di una riduzione drastica delle emissioni climalteranti -almeno il 55% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050- con il pacchetto di provvedimenti detto ‘Fit to 55’ composto da 13 proposte legislative ed iniziative7 finalizzate alla revisione delle normative in materia di clima, energia e trasporti; in buona sostanza una sorta di linee guida per la riconversione strutturale dell’intero apparato produttivo e logistico dell’Unione. Puntare ad aumentare l’efficienza energetica complessiva della formazione sociale implica una revisione, riorganizzazione, ristrutturazione puntuale e generale di tutti i processi produttivi e riproduttivi. Le tredici proposte politiche costituiscono uno strumento normativo per la realizzazione del cosiddetto Green Deal8 la cui enunciazione era rimasta sino ad ora piuttosto generica nei suoi diversi capitoli. Su questo programma tuttavia si è già aperto un conflitto tra i diversi paesi dell’Unione e all’interno dei diversi paesi; fa testo su questo l’interpretazione di cosa si intenda per ‘riconversione ecologica’ da parte del titolare dell’omonimo ministero italiano: la critica ai tempi della riconversione all’elettrico del settore dell’auto e dei trasporti su gomma -l’automotive- per le conseguenze in particolare sulla filiera dei motori , la cosiddetta ‘motor valley’ italiana, l’indicazione del gas naturale come fonte di energia meno climalterante, per finire con la riproposizione del progetto del ponte sullo stretto di Messina.

Antropizzazione e infrastrutture

In queste poche righe stiamo legando il termine generale di antropizzazione a quello di infrastrutture che a sua volta ha una declinazione sempre più estesa quanto più esteso è il ventaglio delle nuove tecnologie che vengono impiegate. Una infrastruttura non è solo una autostrada o una linea ferroviaria, lo è anche il sistema di trasporti marittimo che si connette alle altre modalità di trasporto nel sistema logistico globale, con il complesso dei porti che appartengono al sistema dei gangli, dei nodi intermodali che permettono la connessione dei diversi sistemi e livelli di trasporto tra di loro. Il rapporto duale tra nodi e archi che li connettono, le città, gli spazi urbani, i territori urbanizzati, sono nodi punti terminali della rete o anche parte della rete a seconda della scala con cui la analizziamo e la descriviamo; ogni portone di casa, ogni porta d’appartamento è il punto terminale di una rete su scala sempre più fine. Nei corsi di formazione ambientale che come associazione Retuvasa( Rete per la Tutela della Valle del Sacco) facciamo nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, quando spieghiamo l’antropizzazione di un territorio, mostriamo delle foto della valle con la sua urbanizzazione diffusa e spieghiamo come oltre al reticolo visibile di strade, autostrade e ferrovie, c’è un reticolo più diffuso di strade che non si distingue poiché per ognuna delle case che costellano la campagna c’è una derivazione stradale che la raggiunge.

Questa rete, nella sua struttura stabile e nelle sue emissioni verso l’ambiente, impatta e fraziona gli ecosistemi ne riduce drasticamente la capacità di riproduzione, la biodiversità a cui la prima è legata. Negli ultimi decenni è cresciuta la capacità di analisi dei fenomeni complessi, dei modelli a rete, per l’analisi e la progettazione dei nostri dispositivi tecnologici e dei nostri sistemi, produttivi e riproduttivi. La complessità si è imposta come concetto, come oggetto di analisi scientifica quando lo ha richiesto il governo dei sistemi sociali. Nel contempo abbiamo scoperto la ben più straordinaria complessità dei sistemi viventi a tutte le scale. Il concetto di complessità, nelle sue diverse declinazioni, si è accompagnato al concetto di informazione, alla definizione alla misura della quantità di informazione che un canale di comunicazione può veicolare o che un sistema ‘contiene’. Si sono sprecate le metafore che traslavano concetti e modelli dai dispostivi artificiali di trattamento dell’informazione ed i dispositivi di regolazione e di trasmissione dell’informazione del vivente.

Oggi siamo andati oltre i paragoni più ingenui ed i modelli deterministici del vivente sia a livello cellulare come a livello delle popolazioni e degli ecosistemi. Non si è in grado di capire l’effetto della frantumazione dei sistemi ecologici finché non si comprende l’estesa rete di collaborazione di scambio di informazioni, di reciproco adattamento e reciproca influenza trai diversi esseri viventi che li compongono come ad esempio la rete che si stabilisce tra le piante di un bosco, le loro radici attraverso una infinità di batteri, funghi e microrganismi, come oramai da decenni ci stanno mostrando una quantità crescente di ricerche9. In Italia possiamo prendere a riferimento Stefano Mancuso10.

In questo contesto il ciclo alimentare, in particolare l’agricoltura industriale con tutte le filiere della logistica e dell’agro-alimentare collegate, costituisce una sistema con un ruolo crescente tra le cause del riscaldamento globale, del degradarsi degli ecosistemi e della perdita di biodiversità, associata quest’ultima alla pratica della biopirateria. Possiamo definire l’agricoltura industriale con le filiere collegate un gigantesco sistema infrastrutturale, il cui ruolo cresce con l’incremento demografico e il processo di urbanizzazione; fenomeno quest’ultimo che quel tipo di agricoltura contribuisce a stimolare essendo concausa della messa in crisi dei piccoli, produttori e dell’autoproduzione, un mondo che comprende almeno 2,5 miliardi persone, se non di più secondo alcune stime, da cui dipende tra una percentuale valutata del 60-80% della produzione agricola globale. Una fetta enorme della popolazione mondiale vive sulla soglia di una crisi definitiva del proprio modo di vivere, cui il cambiamento climatico dà una ulteriore spinta; sulla condizione precaria di questa popolazione di piccoli produttori convergono tutti i fattori della crisi climatica, sociale e pandemica che stiamo vivendo ed a sua volta contribuisce ad esaltare i fattori che la determinano. La questione agricola e dei sistemi alimentari è trattata e sarà approfondita con continuità in altri articoli di questo sito, anche in occasione del pre-summit sui Sistemi Alimentari e del contro-summit di cui daremo conto.

Dalla riduzione di complessità al collasso

L’infrastruttura del vivente è devastata dall’espandersi, dall’infittirsi dell’infrastruttura dell’Homo Sapiens, cosiddetto. Come tutti i sistemi complessi che si reggono e si evolvono sulla base delle interazioni, orizzontali e verticali -per schematizzare- dei propri livelli e componenti, la frantumazione, l’interazione delle connessioni oltre una certa soglia provoca non solo l’impoverimento, ma il collasso del sistema; è ciò a cui stiamo assistendo a livello climatico e degli ecosistemi. D’altra parte gli effetti del riscaldamento globale, la sua particolare intensità ed i suoi particolari effetti in alcune regioni, sono stati visti come una occasione di sviluppo; lo scioglimento della calotta artica come occasione di nuove rotte di comunicazione marittima molto più brevi, ricerca di idrocarburi, mentre il riscaldamento della siberia veniva visto come occasione per lo sviluppo di nuove attività agricole e possibilità di insediamento. In realtà il riscaldamento dell’artico ha prodotto il rallentamento delle correnti d’alta quota, il cosiddetto Jet Stream per cui i fenomeni atmosferici estremi permangono più a lungo sulle regioni colpite, vedi gli ultimi eventi in Germania, mentre in Siberia dilagano gli incendi e collassa il permafrost sui cui sono costruite intere città.

Di questa complessità del vivente, del clima, della correlata complessità degli effetti dell’antropizzazione, della infrastruttur-azione, in tutte le sue forme si deve tener conto quando si programmano politiche di mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima e gli ecosistemi. Non ha caso ho usato il termine di mitigazione, poiché di questo si tratta, nonostante l’obiettivo dell’unione del -55% di emissioni per il 2030 appaia significativo; i programmi, per come si vengono delineando, puntano ad una efficienza del sistema dal punto di vista energetico senza considerare la struttura complessiva delle interazioni ai diversi livelli e nei diversi contesti che la riproduzione sociale mette in gioco.

Sono in gioco gli aspetti più profondi delle culture e della civilizzazione complessiva che non si stanno trasformando abbastanza velocemente, in tempo utile per evitare la catastrofe. Forse le scelte a cui la gestione della pandemia ci mette di fronte, sul piano delle scelte individuali, delle responsabilità collettive e delle strategie di governo, possono essere l’occasione per riflessioni profonde e condivise, sia pure passando attraverso dilemmi e conflitti laceranti, superando una visione solipsistica della propria esistenza e scavando più profondamente nel contesto in cui essa procede.

Forse.

 

  1. https://www.ipcc.ch/sr15/download/ []
  2. https://it.wikipedia.org/wiki/Secondo_principio_della_termodinamica []
  3. https://legrandcontinent.eu/it/2021/07/21/dopo-la-pandemia-il-neo-statalismo-prende-il-posto-del-neo-liberismo/ []
  4. https://www.nytimes.com/2021/04/09/opinion/ezra-klein-podcast-brian-deese.html []
  5. https://legrandcontinent.eu/fr/2020/11/10/capitalisme-politique/ []
  6. https://www.nytimes.com/2021/07/26/world/asia/china-climate-change.html?action=click&algo=clicks_raw&block=trending_recirc&fellback=false&imp_id=939109124&impression_id=b4526891-eeab-11eb-8422-4b1414de2bbf&index=4&pgtype=Article&pool=pool%2F91fcf81c-4fb0-49ff-bd57-a24647c85ea1&region=footer&req_id=106513933&surface=eos-most-popular-story&variant=holdout_most-popular-story []
  7. https://www.consilium.europa.eu/it/policies/fit-for-55/ []
  8. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/delivering-european-green-deal_it []
  9. https://www.nytimes.com/interactive/2020/12/02/magazine/tree-communication-mycorrhiza.html https://www.scientificamerican.com/article/mother-trees-are-intelligent-they-learn-and-remember/ []
  10. Stefano Mancuso – L’intelligenza delle piante https://www.youtube.com/watch?v=d-mNMCbvmFo []
agricoltura, Antropizzazione, demografia, megalopoli, Pandemia
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